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Dipinto Allegoria dei Piaceri
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Dipinto Allegoria dei Piaceri

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Dipinto Allegoria dei Piaceri

Olio su tela. Scuola nord-europea del XVIII secolo. La scena allegorica presenta una donna discinta seduta sulle ginocchia di un uomo, presso un tavolo apparecchiato con una brocca, un calice, una tabacchiera ed un sigaro acceso. I due personaggi sono in atteggiamento di scherzosa complicità, intenti entrambi a fumare una lunga pipa. Lo sfondo propone un paesaggio frondoso. Le figure e gli oggetti rimandano ai piaceri materiali e carnali della vita, il fumo, il bere, la compagnia femminile; i personaggi rosei e pasciuti ricordano anche il piacere della buona tavola. Tali soggetti furono ricorrenti nella pittura fiamminga o più generalmente nordica, che li proponeva in chiave ironica e ammiccante. Il dipinto, restaurato e ritelato, è presentato in cornice in stile.

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Dipinto Con Diana al Bagno spiata da un Fauno
ARARPI0230855
Dipinto Con Diana al Bagno spiata da un Fauno

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Dipinto Con Diana al Bagno spiata da un Fauno

Olio su tela. Scuola francese del XVIII secolo. Il soggetto mitologico della dea Diana al bagno fu ampiamente diffuso nella pittura del XVIII secolo e, in particolare nell'area fiamminga, anche nel secolo precedente. Esso venne proposto in diverse varianti, con la dea da sola, o accompagnata da ninfe , o con Atteone; in questo caso la bella divinità, riconoscibile dalla faretra appesa al ramo d'albero e dal cane da caccia che la accompagna. si accinge a bagnarsi in uno specchio d'acqua mentre alle sue spalle un fauno malizioso la spia. Il corpo femminile discinto occupa tutta la scena, centrale e di un biancore che risalta in mezzo alle ombre del bosco frondoso, con tutte le altre figure ed elementi che le fanno da contorno. Il piccolo dipinto è stato restaurato e ritelato ad inizio '900.

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Dipinto Allegorico
ARTPIT0001237
Dipinto Allegorico

Putti che giocano a Carte

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Dipinto Allegorico

Putti che giocano a Carte

Olio su tela. Nella scena, ambientata in un interno ma con ampia finestra che inquadra un paesaggio, tre putti seduti su panchetti giocano con delle carte, tentando di costruirne un castello. Restaurato.

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Grande Succo d'Erba XIX Secolo
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Grande Succo d'Erba XIX Secolo

Le Nove Muse

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Grande Succo d'Erba XIX Secolo

Le Nove Muse

Succo d'erba. In basso a destra compare la parola Euterp. L'enorme succo d'erba raffigura le nove Muse, divinità greche femminili, tutte sorelle, in quanto figlie di Zeus e di Mnemosine, e aventi come guida il dio Apollo. Esse rappresentavano l'ideale supremo dell'Arte, intesa come verità del "Tutto" ovvero l'«eterna magnificenza del divino». Inizialmente considerate in modo generico divinità del canto e delle danze gioconde, deputate a mettere in musica e versi storie quali l'origine del mondo, la nascita degli dei e degli uomini, le imprese di Zeus, e raffigurate spesso accompagnate da vari strumenti musicali, a partire dall'epoca ellenistica vennero loro associate tutte le espressioni canore e musicali comprese quelle tristi e funebri, ed altre arti quali il teatro, e a ciascuna di esse fu associato un genere d'arte specifico, in modo che potessero essere invocate singolarmente per esercitare la loro ispirazione e protezione. La parola "Euterp" rimanda al nome di una di esse, appunto Euterpe, musa della poesia lirica e della musica, tradizionalmente raffigurata con un flauto; ma il nome Euterpe etimologicamente significa "Colei che rallegra" che porta gioia, e si può pensare quindi la scelta di tale nome a titolare l'arazzo voglia rimandare alla più antica funzione delle Muse, quelle di portatrici di gioia attraverso l'arte. In questa presentazione, le muse compaiono mentre danzano, agghindate di veli e tralci fioriti; nelle loro mani o posati accanto, compaiono strumenti o altri oggetti simboli dell'arte che esse ispirano (le maschere teatrali sia tragica che comica, la tavolozza pittorica, vari strumenti musicali...). IL grande dipinto presenta segni di usura e macchie di umidità.

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Dipinto con Scena Mitologica
SELECTED
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Dipinto con Scena Mitologica

Amore e Psiche

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Dipinto con Scena Mitologica

Amore e Psiche

Olio su tela. Scuola nord -Italia del XVII secolo. La scena si rifà, con alcune variazioni ma molto vicina nelle dimensioni, ad una parte del grande affresco intitolato "Banchetto degli dei" nella Camera di Cupido ( o Camera di Amore e Psiche) di Palazzo Té a Mantova, grande raffigurazione di oltre nove metri realizzata da Giulio Romano con la sua bottega nel XVI secolo. La scena proposta (che a Mantova è collocata sulla destra del grande banchetto), vede Amore e Psiche sdraiati su un triclinio, mentre una piccola figura alata li incorona d'alloro e due ninfe lavano la mano di Amore; sullo sfondo a destra un gruppo di satiri sta sacrificando una capra all'ara di una divinità, mentre al centro, in lontananza, una città brucia. Il banchetto degli dei è il momento conclusivo del mito dei due innamorati, che, dopo molte prove e peripezie, ottengono il permesso di Venere per sposarsi. L'opera, restaurata e ritelata, è presentata in cornice antica.

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Dipinto con Il Giudizio di Paride
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Dipinto con Il Giudizio di Paride

Attribuito a Domenico Lupini

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Dipinto con Il Giudizio di Paride

Attribuito a Domenico Lupini

Olio su tela. Il modello deriva da un'incisione di Marcantonio Raimondi su disegno di Raffaello, appositamente realizzato per l'opera grafica, e derivato da un dipinto posto nella Stanza della Segnatura (1513-1515) nei Musei Vaticani. Questo modello fu ripreso e variato successivamente sia in opere dipinte che in altre incisioni, in particolare in quella di Raphael Sadeler del 1589, attualmente presso il gabinetto dei Disegni e delle Stampe dell'Accademia Carrara di Bergamo: il dipinto qui proposto difatti mostra le stesse modifiche apportate rispetto all'originale raffaellesco. Al centro della scena mitologica immersa in un paesaggio naturale, si trovano le tre dee che si contendevano il titolo di più bella: Giunone con il pavone, suo animale simbolico, Venere accompagnata da Cupido, e Minerva accanto alla quale si trovano l'elmo, la lancia e lo scudo. Paride, di spalle, sta dando il pomo d'oro che decreta la vincitrice alla dea dell'amore, sotto lo sguardo del giudice Mercurio. Due putti svolazzano attorno ai protagonisti, mentre in primo piano, sempre di spalle, si trova una figura maschile. Sul prato retrostante si sta invece svolgendo un convitto campestre. L'opera, come attesta un piccolo cartiglio, è attribuita a Domenico Lupini, artista del quale non si sa molto ma del quale si può ipotizzare l'ambito di attività tra Bergamo e Venezia. Uniche due opere firmate sono una “Maddalena convertita” e un'”Annunciazione”, ma altre opere sono state a lui attribuite dalla studiosa Federica Nurchis e collocate nel monastero di Santa Chiara a Bergamo. Il dipinto presenta un caldo e raffinato cromatismo che, assieme all'eleganza dei personaggi e alla modalità compositiva, fanno ipotizzare un soggiorno veneziano di Lucini, che pare richiamare le atmosfere di Tintoretto, Veronese e Palma il Giovane. Il dipinto presenta segni di restauro e ritelatura.

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Coppia di dipinti Allegorici
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Coppia di dipinti Allegorici

Allegorie della Prudenza e della Giustizia

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Coppia di dipinti Allegorici

Allegorie della Prudenza e della Giustizia

Olio su tela. Scuola italiana del XVII secolo. I due dipinti fanno probabilmente parte di un gruppo raffigurante le quattro virtù cardinali, ovvero Giustizia, Prudenza, Temperanza e Fortezza. Le allegorie sono rappresentate in figure femminili, recanti alcuni dei simboli attributivi delle virtù che rappresentano. La Giustizia si riconosce dai due attributi più comuni, la bilancia, simbolo di equità ed equilibrio, e la spada, segno di potenza distributiva. Anche la Prudenza ha con sé due simboli: uno specchio, simbolo di circospezione che ci permette di evitare le insidie del male ( permette di guardarsi alle spalle) o anche simbolo della conoscenza di se stessi; ed un serpente simbolo di eternità e tempo, ma anche esso simbolo di avvedutezza (nel Vangelo Gesù dice:" Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come colombe"). Le due tele, già precedentemente restaurate e ritelate, sono in buone condizioni. Sono presentate in cornice antiche in legno intagliato e laccato, con attuali piccole mancanze e danni.

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Grande Dipinto a Soggetto Mitologico
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Grande Dipinto a Soggetto Mitologico

La Favola di Apollo e Marsia

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Grande Dipinto a Soggetto Mitologico

La Favola di Apollo e Marsia

Olio su tela. Scuola nord-italiana del XVII secolo. La grande tela deriva da un'incisione del 1562 ad opera del veneziano Giulio Sanuto, che riprendeva fedelmente l'opera omonima del Bronzino (1503-1572), attualmente conservata all'Hermitage; rispetto all'originale, l'incisione aggiunse il gruppo di Muse e modificò lo sfondo paesaggistico introducendo gli scorci dei paesi. L'opera è suddivisa in quattro scene, che vanno lette da destra verso sinistra. Nella prima scena è raffigurata la contesa musicale tra Apollo e il sileno Marsia, che suonava il flauto talmente bene da essere ritenuto superiore allo stesso dio; i due contendenti si stanno esibendo, il dio con la lira e il sileno con il flauto addirittura capovolto (per aumentare la difficoltà dell'impresa), davanti al re Mida e alla dea Minerva, riconoscibile dai suoi attributi, l'elmo, la lancia e lo scudo. Nella seconda scena Apollo è intento a scorticare Marsia, per punirlo dell'aver vinto la gara musicale; appoggiati per terra di fianco a lui, il suo mantello e la lira. Nella terza scena, è Re Mida ad esser punito dal dio per avergli preferito Marsia: Apollo sta infilando le orecchie d'asino a Mida, mentre Minerva assiste. Infine la quarta scena, in primo piano a sinistra, è caratterizzata da una figura particolare, identificata nel fedele servitore e barbiere del re: poichè Mida gli aveva ordinato di mantenere il segreto sulle sue orecchie d'asino, non potendo sfogarsi altrimenti, egli scavò una buca nel terreno e urlò lì dentro il suo segreto; in quel luogo però, la leggenda vuole che crebbe un cespuglio di canne che con il vento sussurravano "Re mida ha le orecchie d'asino", rivelando così il temuto segreto. Il dipinto è stato precedentemente restaurato e ritelato, ma necessita attualmente di eventuale ulteriore ripresa del colore. Sul retro a matita è presente una vecchia attribuzione alla scuola ferrarese ("Ercole da Ferrara"). E' presentato in cornice in stile di fine '800.

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Dipinto Clelia passa il Tevere
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Dipinto Clelia passa il Tevere

Attribuito a Domenico Lupini

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Dipinto Clelia passa il Tevere

Attribuito a Domenico Lupini

Olio su tela. Il dipinto rappresenta un episodio della mitologia romana riferito alla giovane eroina romana Clelia, che fu data come ostaggio, insieme ad altre fanciulle, al re etrusco Porsenna durante le trattative di pace con la città; Clelia riuscì però a fuggire, attraversando a nuoto il Tevere. Porsenna ne chiese la restituzione ai romani, che acconsentirono, ma ammirato dal suo eroismo, decise di liberarla consentendole di portare con sé altri prigionieri, che Clelia scelse tra i più giovani. Il momento rappresentato nel dipinto è proprio quello dell'attraversamento del fiume, del quale vi è la personificazione in primo piano a destra, nella figura dell' anziano canuto, accompagnato da una giovane donna con la cornucopia. La scena è molto dinamica, con Clelia e le altre fanciulle che creano un gruppo folto e movimentato intorno al cavallo cavalcato dalla protagonista, come ricordano alcune versioni del racconto; alle loro spalle le tende dell'accampamento del re etrusco con alcuni soldati. Al di là del fiume si trova un altro gruppo di donne che hanno già compiuto la traversata, mentre sullo sfondo si scorge la città capitolina dall'aspetto classico. L'opera, come attesta un piccolo cartiglio, è attribuita a Domenico Lupini, artista del quale non si sa molto ma del quale si può ipotizzare l'ambito di attività tra Bergamo e Venezia. Uniche due opere firmate sono una “Maddalena convertita” e un'”Annunciazione”, ma altre opere sono state a lui attribuite dalla studiosa Federica Nurchis e collocate nel monastero di Santa Chiara a Bergamo. Il dipinto presenta un caldo e raffinato cromatismo che, assieme all'eleganza dei personaggi e alla modalità compositiva, fanno ipotizzare un soggiorno veneziano di Lucini, che pare richiamare le atmosfere di Tintoretto, Veronese e Palma il Giovane. Il dipinto presenta segni di restauro e ritelatura.

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Gruppo di dodici Acqueforti di Giovanni Battista Cecchi
novità
ARARPI0240786
Gruppo di dodici Acqueforti di Giovanni Battista Cecchi

I mesi dell'Anno

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Gruppo di dodici Acqueforti di Giovanni Battista Cecchi

I mesi dell'Anno

Acqueforti acquarellate. Serie di dodici fogli sciolti incisi all'acquaforte e colorati a mano, con didascalia e nome del mese relativo in calce, raffiguranti scene tipiche legate a ciascun mese dell'anno. Realizzate su disegni di Giuseppe Zocchi (1711 -1767), le incisioni di Giovanni Battista Cecchi (1748 -1819) furono stampate tra il 1750 e il 1799 dagli editori fiorentini Giacomo Moro e Giuseppe Bardi. La serie è in buone condizioni, presenta piccole macchie di umidità e lievi difetti. Le incisini sono presentate in cornici in stile.

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Dipinto con Venere e Cupido
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Dipinto con Venere e Cupido

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Dipinto con Venere e Cupido

Olio su tela. Il soggetto mitologico che ritrae insieme le due divinità simbolo dell'Amore profano, è stato ampiamente illustrato nell'arte: come in quest'opera, Venere è solitamente raffigurata in atteggiamento languido, mentre esibisce la sua nuda Bellezza; Cupido, in veste di putto alato, è intento ad estrarre dalla faretra uno dei suoi dardi che inducono l'innamoramento, uno dei quali è già conficcato nel tronco alle spalle della dea. Di sfondo un paesaggio italiano, con piccola struttura architettonica. La sagoma del dipinto rimanda ad una originale cornice sagomata. Restaurato e ritelato, il dipinto è attualmente presentato in cornice in stile.

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