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PITTURA ANTICA
 

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Dipinto Tanzio da Varallo, bottega di
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Dipinto Tanzio da Varallo, bottega di

Martirio dei Francescani a Nagasaki

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Dipinto Tanzio da Varallo, bottega di

Martirio dei Francescani a Nagasaki

Olio su tela. L'opera è una copia fedele dell'omonimo capolavoro di Tanzio da Varallo (1580-82 /1633), realizzato dal pittore della Valsesia per il convento francescano di Santa Maria delle Grazie a Varallo, e attualmente conservato presso la Pinacoteca di Brera. Il dipinto raffigura il martirio avvenuto nel 1597 a Nagasaki di ventitrè frati francescani, che vennero successivamente beatificati nel 1627, data che permette di collocare l'opera negli ultimi anni di attività dell'artista. Tanzio da Varallo si ispirò probabilmente per la sua realizzazione al testo "Vita e imprese dei Martiri del Giappone" del francescano spagnolo Marcello di Ribadeneira; del dipinto di Brera si conoscono un disegno preparatorio parziale (conservato presso la Pinacoteca di Varallo), un disegno a sanguigna pubblicato da Testori (1964) e una tela (di una collezione privata di Borgosesia)) pubblicata da Ferro. La replica qui proposta è fedele all'originale, anche nelle dimensioni, inferiori solo per pochi centimetri in altezza, probabilmente persi durante le ritelatura dell'opera. Pur trattandosi di una copia di notevole qualità, ove in particolare spicca la ricchezza di lumeggiature che risaltano sulla tonalità più calda e scura degli incarnati, si nota rispetto all'originale una minor finezza esecutiva, una tendenza alla semplificazione e un'accentuazione patetica, che depongono per la mano di un copista preoccupato di riprodurre il modello in ogni dettaglio, senza concedersi alcuna licenza. Tale copista peraltro sembra avesse grande dimestichezza con lo stile di Tanzio, al punto da imitarne perfettamente anche le mani ad uncino. Si può quindi pensare ad un allievo di Tanzio o della sua bottega (che alla morte di Tanzio fu portata avanti dal fratello Melchiorre), o ad artista che vide e apprezzò le sue opere, quale fu per esempio Pietro Francesco Gianoli, che lavorò soprattutto nelle chiese della Valsesia e nel Novarese e di cui si conoscono altre repliche di opere di Tanzio da Varallo, quale il Davide con la testa di Golia. Poichè peraltro l' opera qui presentata, prima di essere acquisita da un collezionista privato, rimase collocata per secoli presso un convento francescano lombardo, è plausibile che essa sia una copia di quella di Tanzio commissionata dall' Ordine stesso, per un altro monastero, da un pittore che si avvicinava stilisticamente a Tanzio e poteva guardare all'originale. Il dipinto è stato ritelato e restaurato. E' presentato in cornice di fine '800- inizio '900.

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Coppia di Dipinti su Ardesia
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Coppia di Dipinti su Ardesia

La Maddalena penitente e San Giovanni Battista

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Coppia di Dipinti su Ardesia

La Maddalena penitente e San Giovanni Battista

Olio su ardesia. Sono qui proposti due esempi di pittura a olio su pietra, genere pittorico che a cavallo tra '500 e '600 i ebbe particolare fortuna nella Repubblica Veneziana, nella sua forma di pittura ad olio su lavagna o pietra di paragone. La scelta di una pietra così scura come sfondo non è legata solo a motivazioni pratiche (la vicinanza delle miniere bresciane e della Val Brembana), ma, come ben dimostrano le nostre due opere, l'emergere delle figure dal fondo scuro alla luce risponde in pieno anche alle nuove esigenze della pittura del tempo, che nel clima della Controriforma, tendevano ad esprimere non più solo le certezze esistenziali idealizzate del pieno rinascimento, ma anche le ansie e l'aprirsi a nuove fasi, tendenti già con Tintoretto a una maggiore attenzione al reale ed ai contrasti luministici, per poi sfociare in modo travolgente nelle ricerche seicentesche fortemente giocate proprio sul binomio contrapposto luce-ombra. Le due opere qui presentate ben rientranti nella produzione di area veneta dei primi decenni del '600, propongono due figure di santi, entrambi eremiti, collocate su uno sfondo naturalistico scuro, appena visibile. La figura della Maddalena emerge dall'oscurità, appoggiata a seguire la curva del supporto lapidico; è raffigurata volta con aria interrogativa verso il buio, come in atteggiamento di ascolto, la mano sinistra alzata e l'altra appoggiata al “memento mori”egregiamente scorciato. Davanti a lei un flagello ed il vaso d'unguento. Dipinto en pendant, san Giovanni Battista è rappresentato giovinetto, con un agnello ai suoi piedi, in mano la croce astile con il vessillo “ecce agnus dei”, mentre con la mano destra attinge alla fonte d'acqua, richiamando l'episodio che lo vedrà battezzare Gesù Cristo. In entrambi i dipinti le figure spiccano in modo forte e incisivo grazie al nero che caratterizza la placca di ardesia su cui sono raffigurati. I due dipinti, di formato ovale, sono presentati in cornici lignee nere, di fine '800.

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Domenico Gargiulo attribuito a
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Domenico Gargiulo attribuito a

Paesaggio con Architetture e Figure

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Domenico Gargiulo attribuito a

Paesaggio con Architetture e Figure

Olio su tela. Il grande paesaggio è dominato da una imponente struttura architettonica a colonne affacciata sul mare, che occupa tutta la parte centrale della tela, mentre sulla destra si delinea una fortezza. La scena è poi animata da numerose figure di popolani intenti alle quotidiane attività: in primo piano a sinistra, sulla banchina, un gruppo di uomini attende al carico di numerose casse e bauli. Sul baule centrale, vicino al personaggio dominante al centro che pare dirigere le operazioni, è inserito il monogramma D.G. Questa sigla insieme alla modalità stilistica barocca, rimanda l'attribuzione a Domenico Gargiulo, nome d'arte del pittore napoletano Micco Spadaro (1609/1612 – 1675). Attivo prevalentemente a Napoli soprattutto nei due decenni a cavallo della metà del XVII secolo, il Gargiulo si affermò principalmente come paesaggista e soprattutto per aver documentato i tumultuosi avvenimenti della Napoli del XVII secolo (eruzioni, epidemie, la rivolta di Masaniello). La progressiva specializzazione nella rappresentazione di paesaggi o scene cittadine, affollate da figurine presentate con descrizioni minute e con attenzione verso la realtà sociale popolare, fecero sì che la sua committenza fosse prevalentemente di carattere privato, ricevendo commissioni da numerosi notabili napoletani, reggenti, cavalieri e ritrovandosi sue opere in tutte le più importanti collezioni napoletane dell'epoca. Tra i suoi maggiori committenti vi fu peraltro anche il grande collezionista fiammingo Gaspare Roomer, a cui il Gargiulo dovette la sua fortuna. Il Gargiulo inserì spesso nelle sue opere le sue sigle, ma raramente le datò; si è potuto stabilire la datazione della sua produzione solo grazie alla realizzazione di una serie di lavori per i monaci della certosa di S. Martino, avvenuta tra il 1638 e il 1646, tra le poche opere a soggetto religioso da lui realizzate ma le uniche a essere documentati con una certa precisione. La grande tela qui proposta è presentata in cornice in stile.

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Dipinto di Paesaggio con Arcobaleno
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Dipinto di Paesaggio con Arcobaleno

Copia da Peter Paul Rubens

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Dipinto di Paesaggio con Arcobaleno

Copia da Peter Paul Rubens

Olio su tela. .Si tratta di una copia dal celebre dipinto di Peter Paul Rubens, realizzato intorno tra il 1632 e il1635, attualmente conservato al Museo dell'Hermitage. La grande scena pastorale presenta un ampio scorcio paesaggistico che spinge lo sguardo fino alla lontana costa marittima; su di esso il cielo si sta progressivamente aprendo lasciando intravvedere sprazzi d'azzurro sulla sinistra, mentre sulla destra, tra le nubi più scure residue dal temporale, si rivela un grande arcobaleno. In primo piano, un gruppo di pastori e pastorelle si dilettano in giochi amorosi, discinti e festosi, in mezzo ai loro armenti, che si riposano e si abbeverano al vicino ruscello. Tutta la scena è animata da una dimensione di gioioso relax e ristoro, come se l'arcobaleno avesse ridonato serenità all'ambiente, riportando la luce e con essa la serenità nel mondo. Rispetto al dipinto di Rubens, sono cambiati qui alcuni particolari, in particolare l'arcobaleno che risulta qui spostato a destra anzichè essere centrale; e le dimensioni inoltre sono maggiori di quelle dell'opera originale. Sulla cornice è riportata etichetta attributiva a Jacob Joardens, pittore fiammingo che fu seguace di Rubens, ma l'attribuzione non è convalidata. Restaurato e ritelato, il dipinto è presentato in cornice dorata in stile.

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