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Nel nostro catalogo puoi trovare Oggetti e Opere d'Arte dal XVI° secolo fino ai giorni nostri. Arte antica, icone, arte contemporanea, pittura antica, arte dell'800 e del '900; questa sezione è la nostra "Galleria"

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Paesaggio con Sosta dei Cavalli
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Paesaggio con Sosta dei Cavalli

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Paesaggio con Sosta dei Cavalli

Olio su tela. La grande scena è ambientata all'entrata di un villaggio in prossimità di una sosta per i cavalli: numerosi cavalieri sono fermi con le loro bestie, a cui provvedono i servitori e i villani che riempiono di fieno la mangiatoia; uno dei servitori, sulla destra, fa abbeverare gli animali nel corso d'acqua che scorre lì vicino. Di sfondo, le case del villaggio disposte lungo il fiume, che a destra sfocia poi nel paesaggio collinare. Si tratta di un'opera realizzata con grande probabilità da un autore fiammingo operante in Lombardia. Alcuni richiami del vestiario e della costruzione indicano per certo la contaminazione nord-europea, mentre altri particolari indicano la localizzazione lombarda di realizzazione. Il dipinto proviene da una prestigiosa dimora storica di famiglia nobile lombarda. Ancora in prima tela, presenta nella fascia più bassa alcuni tagli. E' presentato in sottile cornice coeva.

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Grande dipinto attribuito a Tiburzio Passerotti ( 1553 -1612)
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Grande dipinto attribuito a Tiburzio Passerotti ( 1553 -1612)

Madonna con Bambino il Padre Angeli e Santi

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Grande dipinto attribuito a Tiburzio Passerotti ( 1553 -1612)

Madonna con Bambino il Padre Angeli e Santi

Olio su tela. Corredata di scheda attributiva ad opera del dottor Franco Moro. La tela rientra in un'ampia produzione sacra, che esaltava la gloria di Maria e dei santi vicini alla committenza. Al centro Maria siede su un trono con il Figlioletto in braccio, mentre in alto, dai cieli aperti, guarda a Lei benedicente il Padreterno, con il globo terrestre tra le mani, simbolo del suo potere sul mondo; Egli è affiancato da due angeli. Ai lati del trono stanno in piedi due Santi: a sinistra, San Domenico di Guzman, vestito dell'abito da domenicano e che regge tra le mani un giglio e un libro; sulla destra, nel suo caratteristico saio, San Francesco d'Assisi, che regge la croce a forma di Tau e un libro, e sulle cui mani si vedono i segni delle stimmate. Tutta la scena è caratterizzata dalla staticità delle figure tipica ancora del periodo rinascimentale, da colori vivi e da tratti dei visi composti e delicati. Peraltro alcuni tratti, eccentriche rispetto al comune atteggiamento neo raffaellesco del periodo, orientano verso l'ambito bolognese, nel quale si ritrovano in paticolare Bartolomeo e Tiburzio Passerotti. Rimandano in particolare a quest'ultimo alcuni aspetti stravaganti che scorrono in ogni dettaglio della tela: la corrispondenza coloristica di tinte vive e squillanti, gli allungamenti schematici degli arti inferiori, accentuati dal marcato segno di nero che caratterizza i contorni delle ciglia e delle sopracciglia, fino alla suadente forma della bocca. Restaurato e ritelato, il dipinto è presentato in cornice antica.

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'Giudizio di Paride' Domenico Lupini attribuito a
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'Giudizio di Paride' Domenico Lupini attribuito a

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'Giudizio di Paride' Domenico Lupini attribuito a

Il modello deriva da un'incisione di Marcantonio Raimondi su disegno di Raffaello, appositamente realizzato per l'opera grafica, derivandolo da un dipinto posto nella Stanza della Segnatura (1513-1515). Questo modello fu ripreso e variato da Hans von Aachen in una tela datata 1588 e oggi conservata presso il Museo della Certosa di Douai, a sua volta ripreso in una incisione dell'anno successivo di Raphael Sadeler, presso il gabinetto dei Disegni e delle Stampe dell'Accademia Carrara di Bergamo. Da quest'ultima versione è derivata la tela in esame, che mostra le stesse modifiche apportate rispetto all'originale raffaellesco. Al centro della scena, che si svolge immersa in un paesaggio naturale, si trovano le tre dee che si contendevano il titolo di più bella: Giunone con il pavone, suo animale simbolico, Venere accompagnata da Cupido e Minerva accanto alla quale si trovano l'elmo, la lancia e lo scudo. Paride, di spalle, sta dando il pomo d'oro che decreta la vincitrice alla dea dell'amore, sotto lo sguardo del giudice Mercurio. Due putti svolazzano attorno ai protagonisti, mentre in primo piano, sempre di spalle, si trova una figura maschile. Sul prato retrostante si sta invece svolgendo un convitto campestre. L'opera, come attesta un piccolo cartiglio, è attribuita a Domenico Lupini, artista del quale non si sa molto ma per cui si può ipotizzarne l'ambito di attività tra Bergamo e Venezia. Uniche due opere firmate sono una “Maddalena convertita” e un'”Annunciazione”, ma altre opere sono state a lui attribuite dalla studiosa Federica Nurchis e collocate nel monastero di Santa Chiara a Bergamo. Questi dipinti presentano un caldo e raffinato cromatismo che, assieme all'eleganza dei personaggi e alla modalità compositiva, fanno ipotizzare un soggiorno veneziano di Lucini, che pare richiamare le atmosfere di Tintoretto, Veronese e Palma il Giovane. Presentato in cornice dorata del XVII secolo, restaurato e ritelato.

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Hieronymus III Francken
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Hieronymus III Francken

La negazione di Pietro

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Grande Dipinto a Soggetto Mitologico
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Grande Dipinto a Soggetto Mitologico

La Favola di Apollo e Marsia

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Grande Dipinto a Soggetto Mitologico

La Favola di Apollo e Marsia

Olio su tela. Scuola nord-italiana del XVII secolo. La grande tela deriva da un'incisione del 1562 ad opera del veneziano Giulio Sanuto, che riprendeva fedelmente l'opera omonima del Bronzino (1503-1572), attualmente conservata all'Hermitage; rispetto all'originale, l'incisione aggiunse il gruppo di Muse e modificò lo sfondo paesaggistico introducendo gli scorci dei paesi. L'opera è suddivisa in quattro scene, che vanno lette da destra verso sinistra. Nella prima scena è raffigurata la contesa musicale tra Apollo e il sileno Marsia, che suonava il flauto talmente bene da essere ritenuto superiore allo stesso dio; i due contendenti si stanno esibendo, il dio con la lira e il sileno con il flauto addirittura capovolto (per aumentare la difficoltà dell'impresa), davanti al re Mida e alla dea Minerva, riconoscibile dai suoi attributi, l'elmo, la lancia e lo scudo. Nella seconda scena Apollo è intento a scorticare Marsia, per punirlo dell'aver vinto la gara musicale; appoggiati per terra di fianco a lui, il suo mantello e la lira. Nella terza scena, è Re Mida ad esser punito dal dio per avergli preferito Marsia: Apollo sta infilando le orecchie d'asino a Mida, mentre Minerva assiste. Infine la quarta scena, in primo piano a sinistra, è caratterizzata da una figura particolare, identificata nel fedele servitore e barbiere del re: poichè Mida gli aveva ordinato di mantenere il segreto sulle sue orecchie d'asino, non potendo sfogarsi altrimenti, egli scavò una buca nel terreno e urlò lì dentro il suo segreto; in quel luogo però, la leggenda vuole che crebbe un cespuglio di canne che con il vento sussurravano "Re mida ha le orecchie d'asino", rivelando così il temuto segreto. Il dipinto è stato precedentemente restaurato e ritelato, ma necessita attualmente di eventuale ulteriore ripresa del colore. Sul retro a matita è presente una vecchia attribuzione alla scuola ferrarese ("Ercole da Ferrara"). E' presentato in cornice in stile di fine '800.

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Aronne con Mosè davanti al Faraone
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Aronne con Mosè davanti al Faraone

Attribuito a Antonio Molinari

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Aronne con Mosè davanti al Faraone

Attribuito a Antonio Molinari

Olio su tela. XVII-XVIII secolo. La grande scena racconta un episodio biblico del libro dell'Esodo, in cui Aronne con Mosè davanti al Faraone d'Egitto, trasforma il suo bastone in un serpente, ad emulare i trucchi che i maghi egiziani avevano fatto per spaventarli. Il Faraone assiso sul suo trono a sinistra, contornato dai servitori, e i maghi sulla destra, osservano il miracolo costernati e spaventati, mentre al centro Aronne, riconoscibile dal copricapo sacerdotale, indica l'evento mentre al suo fianco Mosè, con il dito alzato indica il cielo, per rimandare il miracolo alla potenza divina. Il serpente ha qui la foggia di un draghetto alato, che sta calpestando i serpenti dei magi egizi. La tipologia della scena e i modi pittorici rimandano alla produzione di Antonio Molinari (1655 -1734), uno dei più autorevoli rappresentanti della pittura veneziana a cavallo tra Sei e Settecento, che si distinse per un suo stile personale, caratterizzato da una accentuata teatralità dei gesti, da una tavolozza vivace e da una notevole fluidità della pennellata. Il Molinari ottenne un notevole successo con la produzione di quadri da stanza raffiguranti episodi di carattere storico, mitologico o biblico, che furono ampiamente ripresi e riproposti. La grande tela, restaurata e ritelata, è presentata in cornice in stile.

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Gruppo di Quattro Dipinti con Scene dell'Orlando Furioso
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Gruppo di Quattro Dipinti con Scene dell'Orlando Furioso

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Gruppo di Quattro Dipinti con Scene dell'Orlando Furioso

Olio su tela. Ambito lombardo della fine XVIII secolo. Le quattro tele propongono scene tratte dall'Orlando Furioso, il famoso poema epico scritto da Ludovico Ariosto e pubblicato per la prima volta nel 1516. Sul telaio, al retro, sono presenti scritte a mano in italiano antico, che dicono il titolo della scena e danno il riferimento del canto e della strofa. Tutte e quattro le scene rappresentano episodi tratti dai primi due canti del poema e risultano essere sequenziali. I titoli attributivi sono i seguenti: 1- “Questo quadro rapresenta quel Paladin galiardo (Rinaldo) figliolo di Amone sig. di Monte Albano, che lo descrive Ariosto a canto 1 a strofa 12” : è raffigurato il momento in cui Rinaldo, appiedato del suo cavallo Baiardo, scorge nel bosco Angelica fuggita dall'accampamento di Namo di Baviera. 2- “Questo quadro rapresenta Angelica e Ferraù quando gli si pone in aiuto, che lo descrive Ariosto al canto 1 strofa 14”: Angelica che fugge da Rinaldo, incontra nel bosco Ferraù, un nobile cavaliere saraceno anche lui innamorato della ragazza, che la aiuta a fuggire opponendosi al cavaliere cristiano. 3- “Questo quadro rappresenta Rinaldo e Sacripante che si abbatano, Angelica fugge dal furore di essi. La descrive Ariosto al Canto 2 strofa 10”: Rinaldo e Sacripante combattono per contendersi l'amore di Angelica, che però intanto scappa via. 4- “Questo quadro rapresenta Rinaldo e Sacripante nel atto che si abbatevano per Angelica e vengono fermati di un spirito in forma di Valletto. Lo descrive Ariosto al canto 2 strofa 15”: mentre i due cavalieri combattono, Angelica incontra un eremita, il quale, con un incantesimo, evoca uno spirito con le sembianze di un valletto, che interrompe il duello tra i due contendenti. I dipinti appartengono pertanto ad un unico ciclo pittorico, riconducibile alla fine del XVIII secolo e che, conformemente al gusto neoclassico, rappresenta i personaggi in abiti classici - i guerrieri vestiti come soldati antichi, Angelica abbigliata con tunica, calzari e bracciale da donna romana -, ma inseriti in un paesaggio del Nord Italia, una foresta ombrosa e fitta. L'Orlando Furioso ebbe la peculiarità di proporre il tema guerresco associato a quello amoroso (in particolare fu prediletta la storia d'amore tra Angelica e Medoro che divenne soggetto di numerose opere di artisti di tutti i secoli) ed ottenne grande popolarità e successo: numerose furono le sue rappresentazioni in tutte gamme dell'arte pittorica visiva, in affreschi signorili, quadri, ceramiche, anche vasi da farmacia, coppe, medaglie, pendole, candelabri. Si cominciò in terra emiliana, terra d'origine del poema realizzato dall'Ariosto per il cardinale Ludovico D'Este, per arrivare alle corti medicee, in Lombardia, ove successivamente cicli pittorici ariosteschi vennero realizzati in numerosi palazzi e dimore signorili. Le tele sono presentate in cornici dorate in stile.

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Domenico Gargiulo attribuito a
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Domenico Gargiulo attribuito a

Paesaggio con Architetture e Figure

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Domenico Gargiulo attribuito a

Paesaggio con Architetture e Figure

Olio su tela. Il grande paesaggio è dominato da una imponente struttura architettonica a colonne affacciata sul mare, che occupa tutta la parte centrale della tela, mentre sulla destra si delinea una fortezza. La scena è poi animata da numerose figure di popolani intenti alle quotidiane attività: in primo piano a sinistra, sulla banchina, un gruppo di uomini attende al carico di numerose casse e bauli. Sul baule centrale, vicino al personaggio dominante al centro che pare dirigere le operazioni, è inserito il monogramma D.G. Questa sigla insieme alla modalità stilistica barocca, rimanda l'attribuzione a Domenico Gargiulo, nome d'arte del pittore napoletano Micco Spadaro (1609/1612 – 1675). Attivo prevalentemente a Napoli soprattutto nei due decenni a cavallo della metà del XVII secolo, il Gargiulo si affermò principalmente come paesaggista e soprattutto per aver documentato i tumultuosi avvenimenti della Napoli del XVII secolo (eruzioni, epidemie, la rivolta di Masaniello). La progressiva specializzazione nella rappresentazione di paesaggi o scene cittadine, affollate da figurine presentate con descrizioni minute e con attenzione verso la realtà sociale popolare, fecero sì che la sua committenza fosse prevalentemente di carattere privato, ricevendo commissioni da numerosi notabili napoletani, reggenti, cavalieri e ritrovandosi sue opere in tutte le più importanti collezioni napoletane dell'epoca. Tra i suoi maggiori committenti vi fu peraltro anche il grande collezionista fiammingo Gaspare Roomer, a cui il Gargiulo dovette la sua fortuna. Il Gargiulo inserì spesso nelle sue opere le sue sigle, ma raramente le datò; si è potuto stabilire la datazione della sua produzione solo grazie alla realizzazione di una serie di lavori per i monaci della certosa di S. Martino, avvenuta tra il 1638 e il 1646, tra le poche opere a soggetto religioso da lui realizzate ma le uniche a essere documentati con una certa precisione. La grande tela qui proposta è presentata in cornice in stile.

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Santi Nazario e Celso
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Santi Nazario e Celso

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Santi Nazario e Celso

Olio su tela. Nazario e Celso furono due martiri cristiani, morti a Milano nel 304 d.C, venerati sia dalla chiesa cattolica che da quella ortodossa, che viaggiarono per l'Italia come evangelizzatori, subendo la persecuzione da parte dei romani. Secondo la tradizione i due giovani vennero condannati a morte e imbarcati su una nave che doveva portarli al largo, dove sarebbero stati gettati in mare. La leggenda vuole che, gettati in mare, presero a camminare sulle acque. Si scatenò allora una tempesta che terrorizzò i marinai, i quali chiesero aiuto a Nazario. Le acque si calmarono immediatamente. La nave sarebbe infine approdata a Genova, e qui Nazario e Celso proseguirono la loro opera evangelizzatrice in tutta la Liguria e spingendosi sino a Milano, dove infine vennero arrestati e nuovamente condannati a morte. Il dipinto è in prima tela e non è mai stato sottoposto a restauro, ma pur necessitando di pulizia, è in buone condizioni (micro cadute di colore). E' presentato in cornice coeva, con mancanze.

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Dipinto con Veduta Architettonica e Personaggi
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Dipinto con Veduta Architettonica e Personaggi

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Dipinto con Veduta Architettonica e Personaggi

Olio su tela. Una grande struttura architettonica, imponente nel suo classicismo, con alte colonne tortili ed elaborati capitelli in stile corinzio, domina un paesaggio lacustre dolce e sfumato, che brulica dell'attività quotidiana di piccole figure di viandanti, pescatori, e popolani, ben descritti nelle loro peculiarità. Il dipinto è vicino ai modi di Viviano Codazzi (1604 -1670) a cui era tradizionalmente attribuito. Di origini bergamasche ma attivo poi a Roma e a Napoli, il Codazzi fu un celebre pittore di prospettive, considerato da molti l'inventore della veduta e del capriccio architettonico. Vicino anche al genere dei bamboccianti, egli si distinse per la cura descrittiva dei diversi protagonisti, della loro gestualità, dei loro indumenti, cura indicante una visione e uno studio dal vero della vita quotidiana, letta e interpretata senza filtri letterari ma con spiccato naturalismo. Restaurato e ritelato, il dipinto è presentato in cornice in stile.

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Dipinto di Paesaggio con Arcobaleno
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Dipinto di Paesaggio con Arcobaleno

Copia da Peter Paul Rubens

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Dipinto di Paesaggio con Arcobaleno

Copia da Peter Paul Rubens

Olio su tela. .Si tratta di una copia dal celebre dipinto di Peter Paul Rubens, realizzato intorno tra il 1632 e il1635, attualmente conservato al Museo dell'Hermitage. La grande scena pastorale presenta un ampio scorcio paesaggistico che spinge lo sguardo fino alla lontana costa marittima; su di esso il cielo si sta progressivamente aprendo lasciando intravvedere sprazzi d'azzurro sulla sinistra, mentre sulla destra, tra le nubi più scure residue dal temporale, si rivela un grande arcobaleno. In primo piano, un gruppo di pastori e pastorelle si dilettano in giochi amorosi, discinti e festosi, in mezzo ai loro armenti, che si riposano e si abbeverano al vicino ruscello. Tutta la scena è animata da una dimensione di gioioso relax e ristoro, come se l'arcobaleno avesse ridonato serenità all'ambiente, riportando la luce e con essa la serenità nel mondo. Rispetto al dipinto di Rubens, sono cambiati qui alcuni particolari, in particolare l'arcobaleno che risulta qui spostato a destra anzichè essere centrale; e le dimensioni inoltre sono maggiori di quelle dell'opera originale. Sulla cornice è riportata etichetta attributiva a Jacob Joardens, pittore fiammingo che fu seguace di Rubens, ma l'attribuzione non è convalidata. Restaurato e ritelato, il dipinto è presentato in cornice dorata in stile.

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Dipinto con Mare in Burrasca
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Dipinto con Mare in Burrasca

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Dipinto con Mare in Burrasca

Olio su tela. Come da etichetta al retro, il dipinto fu presentato alla "Mostra di pittura barocca veneziana" del 1943, con il titolo "In porto al tramonto" e l' attribuzione a Marco Ricci. L'attribuzione può essere motivata dalla capacità esecutiva, che attraverso pennellate rapide e sciolte, riesce a rendere pienamente con sensibilità la realtà naturale del mare in tempesta. Si vedano a tale proposito le immagini simili pubblicate da Rodolfo Pallucchini nell'articolo "Studi ricceschi: contributo a Marco" pubblicato nella rivista Arte veneta (vol. IX, 1955). Le produzioni paesaggistiche e le marine del Ricci (che peraltro non furono la sua produzione più ampia) sono caratterizzate da luci potenti ed emotive, da alberi secchi e contorti, rocce e torrioni, nuvole cumuliformi che si squarciano all'improvviso in vaghi sprazzi d'azzurro, onde spumeggianti, un repertorio complesso che trasfigura la natura in una rappresentazione drammatica e inquieta, nella quale è inserito anche l'uomo come elemento integrante. Anche in questo dipinto si ritrovano tali elementi altamente drammatici ma nello stesso tempo scenografici, con alcune figure umane, tre uomini su una barchetta in primo piano, che sono appena distinguibili dal mare e dalle rocce che li circondano, così come la nave sulla sinistra che naufragando inglobata dal mare. Restaurato e ritelato, il dipinto è presentato in cornice in stile.

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Dipinto del XVII Secolo con Scena della Cattura di San Tommaso d'Aquino
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Dipinto del XVII Secolo con Scena della Cattura di San Tommaso d'Aquino

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Dipinto del XVII Secolo con Scena della Cattura di San Tommaso d'Aquino

Olio su tela. Scuola toscana del XVII secolo. Rampollo di un'antica stirpe longobarda di Aquino (in provincia di Frosinone), Tommaso (nato intorno al 1226) andato a Napoli per studiare, nel 1243 entrò contro il volere dei suoi parenti nell'ordine dei predicatori domenicani, ma durante il viaggio verso il settentrione fu arrestato dai suoi fratelli e per circa un anno tenuto prigioniero. Nella scena il giovane santo al centro, già vestito dell'abito domenicano, è circondato sui due lati da quattro figure riccamente vestite, appunto i parenti, tra i quali probabilmente la madre, che lo trattengono benevolmente, quasi lo abbracciano, mentre con la gestualità delle mani e gli sguardi afflitti e amorevoli tentano di convincerlo, quasi supplicandolo. Le figure sono peraltro collocate in una prigione, come indicano le sbarre alla finestrella sulla destra, a sottolineare l'azione coercitiva compiuta. Ricchi e particolareggiati sono i dettagli delle vesti dei personaggi, dai colori vivaci che contrastano con l'abito di Tommaso, plastici i movimenti propriamente di gusto barocco. Già restaurato e ritelato, il dipinto si presenta in buone condizioni, con cretto evidente. E' presentato in cornice antica rilaccata e ridorata.

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Grande Paesaggio con Scena di Caccia
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Grande Paesaggio con Scena di Caccia

Caccia al Cervo

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Grande Paesaggio con Scena di Caccia

Caccia al Cervo

Olio su tela. La scena, ambientata in una campagna boschiva, presso della rovine architettoniche, è centrata sul movimentato e ricco gruppo di figure di cacciatori, vestiti alla foggia di cavalieri, che armati di spade e lance e con l'aiuto dei cani, danno il colpo finale al cervo ormai ferito e agonizzante. Il grande formato evidenzia la committenza importante, sottolineata anche dall'abbinamento a dipinto simile. Lo stile rimanda alla pittura del nord-ovest italiano; quadri di tal formato e di tali soggetti, spesso in coppia, si trovavano diffusamente nei piccoli castelli piemontesi e lombardi: ad esempio, nell'inventario del 1739 del castello di Orio Canavese (a nord di Torino) sono descritti, nel salone centrale, “due quadri grandi bislonghi rapresentanti due caccie una del Cervo, e l'altra del Cinghiale senza cornici”, che poi si ritrovano, dopo vendite successive in altri inventari. Restaurato e ritelato. Presentato in cornice in stile.

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Dipinto Attribuito a Gaspard Dughet
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Dipinto Attribuito a Gaspard Dughet

Paesaggio Classico con Figure XVII secolo

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Dipinto Attribuito a Gaspard Dughet

Paesaggio Classico con Figure XVII secolo

Olio su tela. In un ampio paesaggio verdeggiante e in cui scorre un fiume, emerge al centro un borgo; in primo piano sulla destra, sul sentiero vi è un gruppo di donne, vestite di tuniche colorate. il dipinto riprende le modalità pittoriche di Gaspard Dughet, il pittore romano formatosi alla scuola del Poussin, che si dedicò prevalentemente alla produzione paesaggistica, con una nuova libertà e una fresca naturalezza volte alla scoperta di una Natura reale e magica allo stesso tempo, pagana, libera e selvaggia. Nella produzione del Dughet le figure umane non furono mai dominanti, assenti nella produzione giovanile e poi introdotte solo su richiesta della clientela, arrivando ad adottare un tipo particolare di figure senza grandi modifiche per tutta la sua carriera: figure eleganti, dal portamento sciolto, vestite di una corta tunica vagamente anticheggiante, di solito anonime e di appartenenza popolare. Si ritrovano in quest'opera tali tratti, anche se l'attribuzione al Dughet non è certa, e si ritiene piuttosto di collocarla nella sua cerchia. Restaurato e ritelato, il dipinto è presentato in cornice in stile.

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Compianto su Cristo Morto
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Compianto su Cristo Morto

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Compianto su Cristo Morto

Olio su tela. Scuola Nord Italia. Inserita in un paesaggio tardo rinascimentale, la composizione delle figure è disposta secondo una diagonale ascendente verso sinistra e più precisamente culminante con le tre croci sul Calvario in lontananza; centrale è il corpo del Cristo, disteso seppur anch'esso obliquamente, dietro il quale tre figure, S.Giovanni, Maria al centro e una pia donna, unica raffigurata in abiti del XVII secolo, probabilmente ritraendo un personaggio vicino alla committenza. L'opera può essere collocata nella produzione culturale lombardo-veneta della prima metà del '500, più precisamente nella attività pittorica fiorita tra Brescia, il Garda e Verona, che ebbe massima espressione nei modi manieristi di Giovanni Demio (1500-1570 ca). Si ritrovano in particolare nell'opera alcuni elementi, soprattutto nelle fogge di abbigliamento e nelle pose (per esempio del San Giovanni), che rimandano a modelli di stampo raffaellesco ampiamente utilizzati, grazie alla mediazione di incisori quali il Marcantonio Raimondi (1480 -1534 ca), che contribuirono alla diffusione delle opere dei maestri. Il dipinto, restaurato e ritelato, presenta ampi rifacimenti. E' presentato in cornice antica, databile intorno al XVII secolo, riverniciata.

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Ritratto di Eleonora Lampugnani
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Ritratto di Eleonora Lampugnani

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Ritratto di Eleonora Lampugnani

Olio su tela. Scuola lombarda. La ricca dama ritratta è accompagnata dalla scritta identificativa in alto a destra che recita "Eleonora Lampuniana Nupta N.V. Bartolomei De Cornu 1478": si tratta quindi di Eleonora Lampugnani moglie di Bartolomeo Del Corno. La famiglia Lampugnani è un' antica famiglia patrizia di Milano (il nome deriva dal quartiere Lampugnano), con residenze a Legnano e Busto Arsizio, e alla quale Filippo Maria Visconti (duca di Milano) assegnò nel XV secolo il feudo di Trecate; il marito della nobildonna apparteneva invece alla nobile famiglia piemontese Corno (in origine detta Del Corno). La nobildonna è ritratta in piedi, in splendida veste riccamente ricamata e impreziosita da pizzi; essa poggia la mano su un prezioso cofanetto intarsiato in avorio, probabilmente un monetiere, simbolo di ricchezza e potere, sormontato peraltro da un vaso con fiori, simbolo piuttosto di vanità. Il dipinto presenta un restauro antico sulle mani, che risultano di qualità inferiore rispetto a quella del volto, delle vesti, del vasetto di vetro. Il dipinto proviene da antica collezione lombarda. La data 1478 riportata con la scritta, risulta poco consona all'abbigliamento cinquecentesco: secondo il racconto della famiglia di provenienza del dipinto, la data che compariva prima dell'ultimo restauro era 1578, e si tratterebbe pertanto di una modifica fatta erroneamente dal restauratore.

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Allegoria dell'Amore
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Allegoria dell'Amore

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Allegoria dell'Amore

Olio su tela. Scuola nord-europea. Si tratta di una divertente scena allegorica dell'amore profano, che vuole dimostrare come tutte le persone, di qualunque ceto sociale e di tutte le età, possono cadere nella trappola dell'innamoramento. Lo sfondo della tela è occupato da una enorme nassa, la rete a canestro usata in alcuni tipi di pesca, sopra l'imbocco della quale siede un putto violinista, intento a suonare; la nassa è affollata di coppie, mentre una sfilata di altre cammina davanti ad essa per raggiungerne l'entrata. Tra di esse vi sono coppie di anziani e di giovani, coppie di ricchi e di poveri, nobili, borghesi e proletari: tutti hanno espressioni liete e leggere, si lanciano sguardi innamorati o guardano benevolmente alla felicità degli altri. All''interno della nassa è presente addirittura una coppia di reali, che corrispondono per fattezze e abbigliamento all'elettore palatino della Renania, Giovanni Guglielmo del Palatinato-Neuburg e alla seconda moglie Anna Maria Luisa de'Medici. Al retro del dipinto è presente un'etichetta che riporta una storica attribuzione a Jan Frans Douven (1656-1727): l'artista olandese che dal 1682 si trasferì a Düsseldorf come pittore ufficiale alla corte dell'elettore palatino della Renania, realizzando soprattutto scene della vita quotidiana del principe e della sua seconda moglie. L'etichetta confermerebbe quindi l'ambito di attribuzione ad artista del XVII-XVIII secolo del nord-Europa. Il dipinto proviene da collezione storica milanese. Presenta tracce di restauri e un rattoppo. In cornice in stile.

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Ritratto di Bartolomeo De Olevano
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Ritratto di Bartolomeo De Olevano

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Ritratto di Bartolomeo De Olevano

Olio su tela. Scuola lombarda. E' il ritratto in piedi di un uomo in armatura, in atteggiamento fiero, quasi in movimento, la mano poggiata sull'elsa della spada; in alto a sinistra uno stemma; in basso a destra un cartiglio dipinto con lunga scritta in latino, che identifica l'uomo. Si tratta di Bartolomeo III Olevano, appartenente alla potente famiglia dei nobili Olevano, feudatari di numerose località del pavese e della Lomellina (ove ancora esiste il loro castello), che ebbe gran voce nelle vicende di Pavia e del suo contado fino al secolo XVIII. Bartolomeo III, nato nel 1512, si dedicò all'arte della guerra per quarant'anni, compiendo numerose e onoratissime imprese, fu prefetto di Mortara e Novara durante la dominazione di Carlo V, maestro dei militi e ambasciatore di Filippo II. Nel cartiglio sono riassunte le sue imprese più importanti: è disponibile traduzione del testo. Lo stemma raffigurato presenta a sinistra la pianta dell'ulivo da cui la famiglia prese il nome. Il dipinto proviene da importante collezione di famiglia storica lombarda.

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Ritratto di Monarca Scozzese
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ARARPI0096279
Ritratto di Monarca Scozzese

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Ritratto di Monarca Scozzese

Olio su tela. Intenso e di qualità, il dipinto raffigura un monarca della casa reale di Scozia. Intorno al ritratto, in cornice ovale dipinta, si trovano alcune scritte: in alto a sinistra compare il nome Rober(t), in basso a sinistra il titolo Rex e a destra l'abbreviazione Scot, che sta per Scotorum; la scritta in alto a destra non è identificabile, ma parrebbe essere un acronimo. L'uomo ritratto indossa un cappello e una giubba ornati di pelliccia d'ermellino, considerata la pelliccia più nobile riservata ai reali. Egli porta al collo un ciondolo dorato, che raffigura due foglie con il frutto del cardo, che in araldica simboleggia la Scozia. La scritta e il ciondolo rimandano pertanto a un Roberto di Scozia, probabilmente della dinastia che regnò nel XIV secolo. Il ritratto è stato peraltro eseguito nel periodo ottocentesco romantico, ricorrendo probabilmente per ispirazione a qualche incisione antica. Restaurato e ritelato, è presentato in cornice in stile.

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